Wednesday, December 28, 2005

Elegia del silenzio (Federico García Lorca)

Silenzio, dove porti
il tuo cristallo appannato
di sorrisi, di parole
e singhiozzi di alberi?
Come rendi limpida, silenzio,
la rugiada del canto
e le sonore macchie
che i lontani mari
lasciano sul bianco
sereno del tuo manto?
Chi chiude le tue ferite
quando tra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo dardo lento
sul tuo cristallo immenso?
Dove vai se al tramonto
le campane ti feriscono
e spezzano la tua quiete
stormi di versi
e il gran mormorio d'oro
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L'aria dell'inverno
frantuma il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento silenzioso
di qualche fonte fredda.
Dove posi le tue mani
trovi la spina
del sorriso o il caloroso
fendente della passione.

Se procedi verso gli astri
il solenne cinguettio
degli azzurri uccelli
rompe il grande equilibrio
del tuo teschio nascosto.

Se fuggi il suono
sei suono lo stesso,
spettro di armonia,
fumo di grido e canto.
Vieni per dirci
nelle notti scure
la parola infinita
senza alito e labbra.

Trafitto di stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolore di prigioniero
della ragnatela melodica,
la tua sacra sorgente
cieca ormai per sempre?

Torbide di pensiero
le tue onde oggi trascinano
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi delle grida
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Jehova dorme
sali al tuo trono splendente,
spezzagli sulla testa
una stella spenta,
e smettila una volta per tutte
con l'eterna musica,
l'armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua sorgente
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo,
tranquillamente nascevi.

Luglio 1920

(Traduzione di Claudio Rendina).

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