Tuesday, May 08, 2007

Costituzione della Repubblica Italiana

Siccome, spesso e volentieri, in questo periodo tanti politici, per fini meramente propagandistici, si sciacquano la bocca parlando di tutela della famiglia e facendo riferimento alla Costituzione per poter impunemente negare i diritti a una parte consistente della popolazione italiana, sono andato a rileggere il nostro testo legislativo fondamentale sul sito del Quirinale.

E mi sono reso conto che i membri dell'Assemblea Costituente erano tutt'altro che stupidi (è ovvio che non lo erano) e che hanno scritto, soprattutto nella parte riguardante i principi generali, delle cose molto importanti. Ne cito alcune:

Art. 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Nota: non c'è scritto "tutti i cittadini eterosessuali" mi sembra, o sbaglio?

Art. 7.

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.


Art. 8.

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Nota: Se tutte le confessioni religiose sono libere e tutti i cittadini hanno gli stessi diritti, indipendentemente dal credo (o non credo) religioso, perché vengono approvate (o non approvate) leggi sulla base di quanto affermato dagli esponenti di UNA sola di queste religioni (seppur maggioritaria), limitando quindi la libertà di chi appartiene a fedi diverse o non professa alcun credo religioso? Ci sarà sempre qualche sofista che proverà a spiegarmi che non è così, ma non riuscirà mai a convincermi. Anche perché, quando il Presidente della CEI vieta espressamente a dei parlamentari italiani di votare delle leggi contrarie alla Chiesa cattolica, hanno un bel daffare a dirmi che non è un'ingerenza. Però forse mi sbaglio. Forse nei mesi scorsi lo stato della Chiesa ha invaso l'Italia e ora a Montecitorio e Palazzo Madama sta il Parlamento dello Stato Vaticano e non più quello della Repubblica Italiana. In tal caso mi scuso con i deputati e i senatori della Città del Vaticano.

Art. 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Nota: Qui è il nocciolo della questione per quanto riguarda i Dico, PACS, matrimonio per persone dello stesso sesso, unioni di fatto, ecc. Quanto descritto nella Costituzione viene identificato con quella che viene chiamata "famiglia legittima". Secondo la legge italiana in vigore, questa famiglia legittima è l'unico modello di unione riconosciuto e tutelato. Di contro, le unioni di fatto (le convivenze per intenderci), basate esclusivamente sugli affetti, restano senza alcuna garanzia giuridica. Ma leggendo dove si parla, nella Costituzione, di "società naturale fondata sul matrimonio", un rilievo va fatto: se, interpretando questo articolo della legge costituzionale alla lettera, non si lascia spazio al riconoscimento di alcun legame che non sia il matrimonio, d'altro canto non vi è nemmeno la negazione o il divieto di altri tipi di convivenze: queste non sono né vietate, né autorizzate.
Due considerazioni possono essere fatte: la prima sul significato delle parole scritte nell'articolo stesso, la seconda mettendo a confronto questo articolo 29 con altri articoli della Costituzione.
Partiamo dal primo punto. In realtà, l'articolo 29, non solo non nega esplicitamente l'importanza dei rapporti non fondati sul matrimonio, ma non fa nemmeno riferimento alla differenza di sesso (o genere) come elemento caratterizzante il matrimonio. In nessun punto, nella Costituzione si dice che il matrimonio è tra un UOMO e una DONNA, ma si parla di CONIUGI. In altre parole, l'unico dato su cui ci si basa per intendere il matrimonio in questo modo restrittivo è il termine "naturale". Però solo in seguito si è dato all'espressione "società naturale" il significato di "legame matrimoniale tra persone di sesso diverso". In realtà, come hanno sostenuto anche autorevoli costituzionalisti, tra cui Galgano, l'aggettivo "naturale" si riferisce all'insieme delle norme che regolano la società in un certo momento storico. Se così non fosse, allora nemmeno la legge sul divorzio avrebbe dovuto essere approvata, così come, se la società non fosse in evoluzione, non dovrebbero essere possibili i matrimoni esclusivamente civili e non religiosi (la Chiesa cattolica quello si dimentica di dirlo, forse perché molti di quelli che si oppongono ai Dico e alle leggi sulle coppie di fatto sono divorziati e risposati). In effetti, se in un periodo non troppo lontano, appariva inconcepibile la dissoluzione del matrimonio o la liberazione della donna e il riconoscimento dei suoi diritti di moglie non più sottomessa al marito, con le riforme degli anni Settanta, queste concezioni della famiglia sono state sostituite da principi più egualitari, più civili, più moderni, più giusti. È per questo motivo che il termine "naturale" non può avere nessun altro significato se non quello che i membri dell'Assemblea Costituente volevano dargli e cioè quello che la famiglia era una formazione che esisteva già prima dello Stato e, quindi, anche prima delle leggi dello Stato. Da questo si deduce, come sosteneva tra l'altro anche Aldo Moro, che l'art. 29 della Costituzione riconosce non i diritti naturali della famiglia, ma la famiglia naturale in quanto non creata attraverso le leggi, ma da queste regolamentata. Alla luce di questo, se si riconosce la preesistenza della famiglia ai poteri legislativi, allora tutte le norme a garanzia del nucleo familiare vengono in un secondo momento e intervengono non a rendere legittima un'unione, ma solo a regolamentarla. La conseguenza di questo è che le norme che regolano il matrimonio, anche se essenziali, non possono e non devono negare le unioni che non si fondano sul matrimonio.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, è utile mettere a confronto l'art. 29 della Costituzione con altri articoli costituzionali. Nell'articolo 3 della Carta sono enunciati due principi che discendono dal principio cardine dell'eguaglianza dei cittadini. Nel primo comma si legge che "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"; nel secondo, invece, si avverte che è necessario che la Repubblica Italiana intervenga concretamente per "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". In sostanza, se la norma descritta impone che vi sia uguale trattamento, è necessario parificare la famiglia legittima e le altre forme di unione. Se questa parificazione non avvenisse verrebbe violato il principio cardine di eguaglianza.
Andiamo oltre. L'articolo 2 della Costituzione dice: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità". Si tratta di una norma che fornisce una valida giustificazione e collocazione alle coppie di fatto, che possono a ragione essere messe tra le "formazioni sociali" appena citate. A sostegno c'è la genericità della dicitura "diritti inviolabili dell'uomo", che - e questa era sicuramente l'intenzione dei Costituenti - permette di adattare facilmente il testo costituzionale ai cambiamenti della società, in modo che sia aderente con il contesto storico in cui si vive.
Alla luce di quanto detto - e cioè il fatto che non vi è incostituzionalità delle coppie di fatto, così come la "naturalità" della famiglia non è da intendersi come "legame tra un uomo e una donna", ma semplicemente come istituto sociale che esiste fin da prima del costituirsi dello Stato - io penso che, se l'Italia fosse veramente un paese moderno, civile, laico, al passo con gli altri paesi avanzati e con i tempi, e non il paese arretrato e schiavo di altre forze al contempo religiose e politiche che sembra essere, si dovrebbe approvare una legge che consenta:
a) il matrimonio civile (non religioso, ovviamente, perché ogni formazione religiosa si regola secondo le proprie convinzioni, nel rispetto di quelle delle altre fedi o non fedi) sia tra coppie di sesso diverso che tra coppie dello stesso sesso;
b) unioni di fatto/PACS/Dico o che dir si voglia, sia tra coppie di sesso diverso che tra coppie dello stesso sesso.
Solo in questo modo TUTTI i cittadini sarebbero realmente uguali di fronte alla legge.

La società di oggi è molto cambiata rispetto a com'era in tempi anche abbastanza recenti. È necessario aprirsi a quelle realtà che sono solo apparentemente "diverse", perché magari meno frequenti, ma che devono essere tutelate giuridicamente. Non si può non considerare che il fenomeno delle unioni di fatto, etero o gay/lesbiche, è in crescita esponenziale. Se ciò è vero, allora è inconcepibile un sistema legislativo che non preveda alcuna estensione dei diritti civili alle formazioni familiari "atipiche". Così come - da un punto di vista morale - è profondamente ipocrita (e qui mi rivolgo ai nostri politici) continuare a parlare di rispetto e di eguaglianza senza fare nulla che dimostri praticamente questo rispetto nei confronti delle persone e della Costituzione, che di eguaglianza parla esplicitamente e per TUTTI.
La situazione, poi, su un piano giuridico è ancora più incomprensibile se si pensa al fatto che la Corte Costituzionale da tempo lancia segnali in tal senso e che la normativa comunitaria ha dato indicazioni ben precise. La Costituzione europea, che è stata approvata, tra gli altri, anche dal nostro Parlamento, ha come principio fondamentale il divieto assoluto di ogni forma di discriminazione, specialmente quella sessuale. Non solo, nella stessa direzione si è mosso il Parlamento dell'UE, quando, con risoluzione del 1994 e con una relazione del 2000, ha invitato gli Stati membri ad adottare una normativa di riconoscimento delle unioni di fatto, anche omosessualmente formate.
La questione è più preoccupante se si concentra l'attenzione su quanto previsto dalla Direttiva comunitaria n. 38 del 2004, che sancisce il principio della libera circolazione, in ambito europeo, delle persone e dei loro familiari. In tale Direttiva per "familiare" si intende non solo il coniuge e i figli, ma anche il partner che abbia registrato la propria unione. Si comprende allora, la difficoltà italiana di gestire situazioni di questo tipo, dal momento che non vi è una normativa adeguata. Tirando le somme, la lacuna legislativa italiana non può e non deve essere sottovalutata, specie in una società come quella attuale, dove il numero delle unioni di fatto aumenta di giorno in giorno e dove l'assoluta mancanza di tutela verso tali coppie non è certamente un sintomo di pluralismo, ma di profonda arretratezza culturale, sociale, ideologica.
È ora che si ponga fine a questa situazione, di cui fanno le spese tutte le coppie di fatto, etero e omosessuali, anche se quelle gay e lesbiche di più dal momento che non hanno l'alternativa del matrimonio. Ogni giorno uomini e donne, nel nostro paese civile e avanzato solo a parole, si vedono negare diritti e aspettative di non poco conto. Conviventi anche di lunghissima data (anche venti o trent'anni) si vedono negare il diritto di visita o di assistenza al partner gravemente malato o degente. O ancora vi è l'impossibilità per il singolo convivente di fare testamento in favore del compagno senza andare incontro alle gravose misure fiscali previste in materia di successione a terzi estranei.
È ora che tutti quelli che credono che l'Italia debba diventare un paese moderno e giusto facciano dei passi concreti perché sia effettivamente così. Non bastano le parole e non basta nemmeno l'economia per illuderci di vivere in una nazione realmente equa, democratica, civile. Vogliamo di più, vogliamo un impegno per le persone.

Concludo citando la filosofa Hannah Arendt che, sul finire degli anni Cinquanta, anche se in tema di matrimoni interrazziali, disse: "Il diritto di sposare chi vogliamo è un diritto umano elementare, accanto al quale tutti gli altri diritti sono di rango inferiore".

Riferimenti:
Costituzione della Repubblica Italiana
Selene Pascasi, I pacs e la Costituzione: conflitto o convivenza di valori?

3 comments:

Antonio Candeliere said...

La Chiesa ha il diritto di manifestare..il problema lo dovranno risolvere solo gli italiani.

Edward Phelan said...

Sono d'accordo che la Chiesa abbia il diritto di dire quali sono le proprie convinzioni. Io forse mi sono fatto prendere la mano e mi sono scagliato con eccessivo impeto. Il fatto è che ci sono cose che mi irritano:
1) politici - di entrambi gli schieramenti - che ipocritamente difendono, a parole, i valori di un tipo di famiglia (non l'unico!) che nei fatti non corrisponde al loro stile di vita: quanti divorziati, divorziati e risposati, conviventi, ecc. ci sono tra coloro che levano gli scudi?
2) Il fatto che i parlamentari godano di diritti (pensione di reversibilità per i conviventi, estensione dell'assistenza sanitaria per loro, ecc.) che, invece, loro stessi (una parte consistente di parlamentari) vogliono negare al resto della cittadinanza, come se loro fossero cittadini di serie A e gli altri di serie B. Se le coppie di fatto sono immorali (se il giudizio che si dà è etico) o incostituzionali (se il giudizio è tecnico) non lo sono forse anche in quel caso?
3) In che modo le coppie di fatto eterosessuali o omosessuali rovinerebbero la famiglia tradizionale? Si vuol forse dire che una persona che crede nel matrimonio non si sposerà più nel caso venga approvata una legge (Dico o altro)sulle coppie di fatto? O un eterosessuale diventerà omosessuale giusto per sperimentare la novità? È forse obbligando le persone a scegliere il matrimonio (nel caso delle coppie etero) perché non c'è altra possibilità che si ottengono matrimoni o famiglie felici? Si chiudono gli occhi di fronte a quelle migliaia e migliaia di coppie che trascorrono felicemente la loro esistenza insieme, salvo poi vivere veri drammi quando qualcosa va storto (perché non c'è tutela), così come li si chiude di fronte all'altissima percentuale di matrimoni che finiscono. Ci sono rapporti felici e duraturi e rapporti infelici e destinati a finire sia tra quelli che si basano sul matrimonio sia tra quelli che si basano sulla convivenza. Certo, uno può comunque dar vita a una coppia di fatto e infischiarsene, ma la mancanza di tutela fa sì che molte persone (e io ne conosco molte) scelgano alla fine di sposarsi perché "almeno se succede qualcosa, si è protetti". Proteggere la famiglia è allora avere un esercito di persone sposate che non credono nel matrimonio?
Per ora mi fermo, ma mi riservo di aggiungere qualcosa :-)

Edward Phelan said...

Vorrei aggiungere una cosa ulteriore: la Chiesa CATTOLICA ha il diritto di manifestare, ma (si) deve tenere presente che si tratta di convinzioni religiose, che vengono espresse in un paese non teocratico. Chiunque in Italia può esprimere la propria opinione. L'opinione delle gerarchie ecclesiastiche e di chi la condivide, quindi, è importante quanto quella di un qualsiasi CITTADINO ITALIANO. I politici ITALIANI dovrebbero ricordare, quando fanno delle leggi, che non le fanno solo per i cattolici (praticanti e non, veri e non), ma per tutti i cittadini italiani, che hanno lo stesso valore, indipendentemente dal loro credo religioso. Per questo motivo, un parlamentare può manifestare il suo credo religioso, ma nel momento in cui siede in Parlamento deve ricordarsi i suoi doveri anche nei confronti dello Stato italiano, che è LAICO!
Quando c'è stata la stagione dei referendum io non c'ero o ero troppo piccino, tuttavia credo che un ragionamento simile valga, in qualche modo, anche per l'aborto e il divorzio. La Chiesa è contraria all'aborto e al divorzio (e a voler ben vedere anche il matrimonio esclusivamente civile non ha valore per la Chiesa, quindi chi si sposa solo in municipio e non in chiesa, ai fini religiosi, è come se non fosse sposato affatto e quindi "vive nel peccato"). In Italia ESISTONO una legge sul divorzio e una sull'aborto (e io penso che sia giusto che ci siano leggi su queste materie). Se un cittadino italiano è anche cattolico sa benissimo, perché gli è stato spiegato in chiesa, al catechismo, ecc. che l'aborto è peccato e determina la scomunica di chi lo compie e che i divorziati e risposati non possono accostarsi all'eucaristia. Tutto ciò guiderà la sua scelta. Se un cittadino non è credente, la scelta sarà guidata da altre valutazioni: religiose, psicologiche, contingenti, ecc. Perché questo non può valere anche con i Dico, PACS, i matrimoni civili (sia etero sia omosessuali)? Perché non può essere approvata una legge di cui tanti sentono il bisogno anche se, ovviamente, non la totalità? Se qualcuno, poi, per convinzione religiosa o per un altro motivo, non vuole avvalersi di una tale legge, sarà libero di non avvalersene e e ciò non gli nuocerà (non gli sarà certamente puntata una pistola alla tempia), ma perché negarlo anche a chi non ha le stesse convinzioni?