Monday, September 29, 2008

Tradizione? No, grazie. O forse sì... boh

Ieri sera, costretto a guardare controvoglia "Il ballo delle debuttanti", sono rimasto letteralmente basito nell'udire una delle più grandi castronerie che mi sia capitato di sentire ultimamente. Il fatto è che di solito escono dalla bocca di politici e veline (se poi si tratta di politici-veline va da sé quali siano i risultati). Ma questa volta non è stato così. La colpevole è tale Patrizia Barsotti, esperta di comunicazione (così dice la didascalia che appare sotto la sua immagine quando la inquadrano) e accanita sostenitrice della squadra delle "chic" (???). La signora Barsotti ha affermato che la tradizione è tradizione e deve rimanere tale, quindi "non può essere reinterpretata". E in proposito cita la Gioconda di Leonardo. Non sia mai che la Gioconda di Leonardo sia stata/possa essere reinterpretata...
A parte il fatto che un'esperta di comunicazione dovrebbe sapere che dire "la tradizione è tradizione" è tautologico e non comunica nulla tranne il dogmatismo della persona che parla. Men che meno definisce che cosa sia la tradizione. Bella cosa sbandierare un "valore" di cui non si sa nemmeno spiegare il significato.
Secondo. L'esempio di Leonardo non poteva essere più sbagliato. Per prima cosa perché Leonardo è stato rivoluzionario in tutti i campi in cui ha lavorato (come giustamente ha fatto notare un ballerino) e, quindi ha rispettato sì la tradizione per certi aspetti, ma ha saputo anche innovare. In secondo luogo perché proprio della Gioconda esistono almeno due illustri esempi di reinterpretazione da parte di Duchamp e Dalì (che, nel caso alla signora Barsotti sia sfuggito, non sono esattamente due sconosciuti nel campo dell'arte).

A sinistra: Marcel Duchamp, "LHOOQ" (1919)

A destra: Salvador Dalì, "Autoritratto con le sembianze della Gioconda"

Per altri esempi di reinterpretazioni della Gioconda da parte di Magritte, Warhol, Botero si veda questo sito.




E che dire delle reinterpretazioni fatte dai grandi registi di teatro (Peter Brooke, Bob Wilson, Nekrosius) dei drammi "classici" di Cechov, Shakespeare, ecc. Mmmm, brutti cattivi e distruttori della tradizione, vero?
Infine, vorrei riportare qualcosa che è scritto perfino su Wikipedia e cioè che "[d]agli anni ottanta, dal punto di vista scientifico, si tende a criticare il concetto di tradizione, per mettere in evidenza il fatto che la cultura è situata nell'individuo, ed ogni volta che vi è un passaggio di tratti culturali avviene necessariamente una rielaborazione. In quest'ottica la tradizione viene vista più come un elemento retorico utilizzato da gruppi di individui per rafforzare una propria identità collettiva, in particolare per essere utilizzata in contrasti con altri gruppi sociali" (e, vorrei aggiungere, per escludere qualcuno - il diverso da un punto di vista etnico, religioso, sessuale, ecc. - da tali gruppi sociali.

Il rispetto della tradizione va bene, purché non diventi un culto. Non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di qualcosa di dinamico (non necessariamente in senso evolutivo). A parer mio la tradizione non dovrebbe essere idolatrata, né trasformata in un monumento. E va benissimo reinterpretarla. Reinterpretazione e riproposizione secondo le modalità convenzionali non sono mutuamente esclusive; non sono una giusta e l'altra sbagliata. Sono solo due forme di espressione differenti e una mente aperta e tollerante se ne dovrebbe accorgere (anche se poi può benissimo preferire una o l'altra).

Mi dispiace, la prova non è superata, signora Barsotti.

Saturday, September 27, 2008

Ma cosa sei, un mago??

Dopo una lotta all'ultimo sangue, oggi sono riuscito ad averla vinta sull'asse del male: router wireless+notebook con scheda wi-fi. Ora navigo allegramente (e scrivo questo post) dal mio portatile dopo giorni di inc******re. E sono soddisfazioni!!

E come se non bastasse navigo standomene bellamente sdraiato sul mio letto, dove mi sto prendendo cura del mio "piedino" convalescente. E sono doppiamente delle soddisfazioni!!

Sto ascoltando: Daniele Silvestri, "L'uomo col megafono"


Thursday, September 25, 2008

Powerless


A volte non c'è come vivere temporaneamente una situazione per rendersi conto dei problemi di persone che (troppo) spesso rimangono invisibili (i problemi e le persone) agli occhi degli altri.

Sto ascoltando: A Perfect Circle, "Weak and Powerless"


Saturday, September 20, 2008

La selezione ora si fa su Facebook. I social network "contro" l'utente

Ammissioni ai college e ricerca di personale si adeguano ai tempi. Un cacciatore di teste su 5 guarda i profili online dei candidati. Gli strumenti nati per condividere vengono usati per reperire informazioni imbarazzanti.

di MAURO MUNAFO'
- La Repubblica.it (20.09.2008)

SE AVETE un profilo su Facebook o su MySpace state allerta: la pagina che avete aperto per rimanere in contatto con i vostri amici o per conoscere nuove persone potrebbe rivoltarsi contro di voi. Le ricerche pubblicate in questi giorni negli Stati Uniti e in Inghilterra parlano chiaro: i social network sono una delle fonti di informazioni preferite dai responsabili delle assunzioni nelle aziende e dai selezionatori nei college.

Ad evidenziare il nuovo trend ci ha pensato per prima una ricerca di CareerBuilder.com, agenzia specializzata nel reclutamento. Secondo lo studio, condotto su 31 mila "cacciatori di teste", il 22% degli intervistati ha ammesso di controllare il profilo online dei candidati, mentre un altro 9% intende farlo in futuro. Un dato confermato anche dalla ricerca inglese di Personnel Today, condotta su 220 responsabili delle risorse umane, in cui un intervistato su 4 ha dichiarato di dare una "sbirciata" alle pagine personali prima di assumere una persona, alla ricerca di quei particolari che nessuno si sognerebbe di confessare in un colloquio.

Dal vigile occhio della rete (sociale) insomma non si scappa. Se fino a qualche anno fa i selezionatori si limitavano a digitare il nome del candidato sui motori di ricerca, sperando che dal mare magnum di internet spuntasse fuori qualcosa di rilevante, adesso hanno un'arma molto più potente e invasiva. Difficile credere che nel 2008 una persona in cerca di lavoro, e quindi presumibilmente tra i 20 e i 30 anni, non abbia un blog (3 milioni di italiani ne hanno uno) o un account su Facebook o MySpace (4 milioni di italiani sono iscritti ai social network). Di più, se dalle ricerche non risulta nulla, è possibile che sorgano dubbi sulla capacità del candidato di socializzare e, di certo, nessuna azienda vuole misantropi tra le sue fila.

Gli stessi rischi di chi cerca lavoro devono essere affrontati anche dai neo-diplomati di oltre oceano. Una ricerca citata dal Wall Street Journal mostra che nei 500 più prestigiosi college americani, il 10% degli addetti alle ammissioni usa i social network per reperire informazioni aggiuntive sulle aspiranti matricole, una ricerca che si fa ancora più approfondita in caso di assegnazione di borse di studio.

Ma cosa cercano esattamente questi "curiosi autorizzati"? Secondo CareerBuilder le informazioni più desiderate sono quelle sull'abuso di alcol e droga, magari corredate da foto o video compromettenti. Seguono la capacità di comunicazione e l'adeguatezza al ruolo, ma anche i collegamenti ad attività criminali e le rivelazioni sui passati impieghi stuzzicano la curiosità dei cacciatori di teste.

La consapevolezza di queste meccaniche genera però una serie di controffensive sempre più originali. Il candidato ad un posto in azienda provvederà ad eliminare dal suo profilo ogni commento sconveniente, evitando di partecipare a gruppi che possono spaventare i datori di lavoro e magari si iscriverà a LinkedIn, il social network pensato per gestire con professionalità i contatti di lavoro.

Si va ancora oltre nelle scuole superiori a stelle e strisce, dove i tutor arrivano a consigliare agli studenti di non mettere online nulla che non vorrebbero "venisse visto dalla nonna", finendo così per alimentare una vera e propria ondata di conformismo multimediale: l'aspirante matricola starà bene attenta a scegliere le sue letture preferite (meglio Kant dei fumetti Marvel), arrivando persino a rinnegare amicizie storiche con persone un po' troppo alternative per i severi giudici di Yale e Princeton. Una fine paradossale per quegli strumenti come Facebook, nati tra le mura di un college per essere usati dagli studenti e non contro di loro.

Sto ascoltando: Sia, "Breathe Me"


Friday, September 12, 2008

Parlando di serie TV americane...

Donatella Izzo e Cinzia Scarpino (a cura di)
I Soprano e gli altri
I serial televisivi americani in Italia
Milano: Shake, 2008
ISBN 978-88-88865-66-9
144 pp.
Prezzo: EURO 15,00


Negli ultimi anni, le serie tv americane sono state protagoniste assolute della programmazione televisiva, in Italia ma non solo, incontrando un grande successo di pubblico e ottenendo riconoscimenti da parte della critica.
Più del cinema, queste serie Tv hanno saputo rappresentare i difetti della società contemporanea, creando un linguaggio nuovo e facendo esplodere personaggi che sono ormai entrati a pieno titolo nel nostro immaginario.

In questo numero monografico la redazione di ÁCOMA offre una panoramica di approfondimenti sulle serie che più hanno segnato la nostra quotidianità negli ultimi anni.

La spregiudicata Manhattan di Will & Grace e Sex and the City, le scene del crimine CSI e 24, le sale operatorie di ER, Dr. House e Grey’s Anatomy, l’isola di Lost, i dissestati nuclei domestici di Six Feet Under, Simpson e Soprano, il raffinato pianeta omosessuale di L-Word si mostrano, attraverso l’analisi, nella loro qualità di finzioni narrative aperte al magmatico divenire del presente: sismografi in grado di rappresentare le tensioni culturali e le contraddizioni politiche dell’America di oggi.

Scarica l'introduzione qui.